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L’autunnale malinconia di Pier Vittorio Tondelli

Esiste un prima e un dopo Tondelli, che arriva, senza preavviso, con la sua carica anticonvenzionale di distruzione, irriverenza, tragedia e sarcasmo feroce, a cavallo tra la fine dei tragici anni ’70 e l’inizio dei controversi e meravigliosi ’80, segnando quell’epoca, dandone in pratica il definitivo avvio.

Ritengo che, nella letteratura italiana, Tondelli debba avere un posto di maggiore rilievo essendone stato tra i più grandi innovatori nel dopoguerra. La mia professione di insegnante di Lettere mi ha fatto più volte imbestialire e amareggiare, e non poco, quando, scegliendo che tipo di manuale adottare per i miei studenti, notavo che veniva lasciato più spazio ad altri scrittori contemporanei, o post-moderni, o “recenti” (ad esempio, Roberto Saviano, di cui pure ho grande stima) rispetto a PVT, talvolta nemmeno menzionato. Roba da pazzi.

Mi sono innamorato di questo grande autore negli anni dell’università, grazie a uno dei miei docenti di Linguistica Italiana, che lo citò, a ragione, come il più compiuto esempio postmoderno di slang del parlato, oltre che grazie al fondamentale aiuto di mio padre, che, da grande esperto, mi consigliò da quale dei romanzi tondelliani partire con la lettura (Altri libertini, ça va sans dire); e inoltre, per merito del mio amico e Maestro Alberto Bentoglio, che, negli anni, mi ha raccontato, avendolo direttamente conosciuto, vari episodi relativi agli anni di lavoro milanesi di PVT, spesso surreali e divertenti, mai banali.

Politicamente Pier Vittorio si collocava “fuori dai coglioni da tutti”, amava feste e divertimento, anche se, per inclinazione personale, se ne teneva un po’ dentro e un po’ fuori, una sorta di coinvolgimento a giusta distanza. Gli anni della sua formazione a Bologna, presso il DAMS, furono fondamentali per la consapevolezza del suo orientamento sessuale e per quell’aspra descrizione del nostro mondo, in alcuni casi contiguo, negli embrionali eighties narrati da PVT, ad altri mondi periferici, come quello della prostituzione e della tossicodipendenza, quest’ultimo uno degli assi portanti del suo primo romanzo.


Ma attenzione, non solo quello, non solo l’amore. Non solo il sesso. Tondelli descrive anche l’amicizia, la complicità, l’Europa, con grande precisione e sfacciataggine, con la sua scrittura incazzata, stonata, un ininterrotto flusso fuori dagli schemi, pieno di parolacce, di bestemmie, zeppo di scene al limite (come quella, celeberrima, in cui Bibo, uno dei personaggi che si incontrano nel libro, si fa iniettare una dose di eroina nel pene non avendo più alcuna vena “libera”), scrittura che costò all’autore anche una ridicola censura da parte di un pretore che impose di ritirare dalle librerie la sua opera prima.Penso che PVT, con la sua autunnale malinconia, tipica del segno della Vergine (ci teneva molto a specificare di esserlo), sia riuscito, anzitutto in Altri Libertini, a descrivere il suo, il nostro “amore frocio”, come lo definisce senza pudori di sorta in uno dei capitoli del suo capolavoro, nella maniera migliore, senza pudori inutili, nel modo più realistico, con tutto quel misto di promiscuità, di cattiveria, di solitudine, ma anche di dolcezza e struggimento, di sensazioni agrodolci, che in tanti abbiamo sperimentato nelle nostre vite più o meno avventurose e complicate.

Vale la pena ricordare, prima di occuparci, in futuro, di alcune delle opere più importanti di Pier, lo splendido, poetico e famosissimo attacco di Viaggio, il terzo capitolo, quello centrale, del suo romanzo più noto:

Notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d’Emilia a spolmonare quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pensierare in auto verso la prateria, lasciare che le storie riempiano la testa che così poi si riposa, come stare sulle piazze a spiare la gente che passeggia e fa salotto e guarda in aria, tante fantasie una sopra e sotto all’altra, però non s’affatica nulla.

Tema ricorrente, quello del viaggio, in tanti autori, che in Altri Libertini assume, come è ovvio, una grande molteplicità di significati, il più delle volte metaforici, onirici. E qui, proprio qui, PVT raggiunge vette altissime con poche, misurate parole.

Per certi versi, il viaggio nella vita di Tondelli è stato assai breve, essendosene andato a soli 36 anni. Ma è certamente uno di quei viaggi che può essere definito degno di essere stato vissuto e assaporato fino in fondo, dagli abissi più infimi sino alla più raffinata altitudine della poesia.