APPUNTI DA UNA SEGREGAZIONE / Tempo perso a fare passare il tempo
Intrattenimento a tempo al tempo del Covid 19 (o della difficoltà di creare un pensiero felice)
In mancanza di polvere di fata, in questo tempo che non avrei mai saputo immaginare anche se ne avessi avuto il tempo, bisognerebbe avere
forza e coraggio e compassione,
elementi propulsivi che alimentino la riuscita di un progetto di riscatto, di ripresa, di
rinascita ... ma per quanto mi sforzi questo progetto non lo vedo. Non c’è. E più lancio lontano il mio sguardo, meno vedo, meno capisco.
E per capire io scompongo e ricostruisco le immagini del mondo attorno a me, mi ci infilo dentro, col mio corpo - tutto intero o per frammenti o per feticci - Per entrare nell’evento, accordarmi ai segni. E poi le lancio là fuori, dietro uno schermo - album virtuale - a pochi passi da me. Per guardarle con distacco. E forse riuscire a vedere quello che mi sfugge. Impiego del tempo per creare un’immagine che in un tempo successivo mi riveli la misura del tempo.
Inutile, forse. Folle, magari.
C’è chi mette un like. C’è chi passa oltre. C’è chi non guarda proprio e chi, se guarda, vede solo me. Io però - segno tra i segni - vedo l’immagine d’insieme.
E cerco di capire.
E no, non voglio un pubblico anche se, pubblicandola, l’immagine diventa pubblica, certo. Quell’immagine finale è... E’ solo la mia voce, il mio modo di parlare. Spesso parlo da solo, tra me e me. Lo facciamo tutti, no? A volte è un modo per intrattenersi e, perché no? Intrattenere. Far passare il tempo.
Ma in questo tempo, per quanto ci abbia provato, per quanto mi sia intrattenuto e abbia intrattenuto, per quanto abbia scomposto e ricomposto la mia immagine su musiche, letture o fotogrammi – veicolando frammenti importanti dei diversi tempi della mia vita – nulla mi ha dato la forza e il coraggio e la compassione necessari per alimentare la speranza in un progetto di rinascita, semplicemente perché NON C’E’ ALCUN PROGETTO. Là fuori, intendo!
Non voglio un pubblico, non voglio applausi - tutto questo attiene solo alla vita di prima - una vita sospesa.
Voglio un campo d’azione in cui muovermi per essere efficace. Voglio risposte. Voglio certezze. Voglio obiettivi da raggiungere e strategie da mettere in atto per raggiungerli. E uscire dall’emergenza. Rinascere.
“Cerchi di creare un pensiero felice”, mi ha detto.
Ma il mondo in segregazione sta creando un circuito chiuso di follia dove umanità e compassione non hanno più né voce né spazio.
Possiamo continuare a parlarne ma sempre meno persone saranno in grado di capire di cosa si parla e, quindi, di appassionarsi all’argomento.
“Cerchi di creare un pensiero felice”, mi ha detto.
Questo maledetto virus ha messo in pericolo la nostra salute e creato paura e incertezza.
Verissimo.
Ma è stata una sequenza di scelte pratiche, politiche, sbagliate a segregare un intero paese nelle proprie case e a ridurre tutti all’impotenza.
Ormai sembriamo solo cani chiusi nelle gabbie, capaci solo di abbaiare. O scodinzolare a comando.
In tutto questo si spende tempo a intrattenersi e a intrattenere. Ma se, in tempo di Covid 19, l’intrattenimento ha un senso, venire in proscenio per l’applauso è solo cattivo gusto. Questo è il tempo di svuotare le tasche delle proprie vocazioni e mettere a disposizione i propri talenti per vedere se e come possono mettersi al servizio di una strategia efficace. Efficace per cosa? Per tornare a vivere, no? Strategia che però ...NON C’È! C’è solo il tempo. Della paura e dell’intrattenimento forzato.
“Mi avete insegnato la vostra lingua, ed ecco quel che me n’è venuto: ora so maledire”, rimprovera Calibano a Prospero.
Quello che non riesco ad accettare – e che rende impossibile creare un pensiero felice – è che stiamo perdendo tempo, tempo.
Tutti!
Tutto, il tempo!
Perdendo tempo, sì,
perdendo il tempo della nostra vita Perdendo tempo facendo le cose sbagliate perdendo tempo a non fare niente
tempo che non ci verrà mai restituito
Fino al mese scorso sapevo che non avrei mai riavuto indietro i miei 20 anni – ok, è nel crso naturale delle cose -, ma non avrei mai immaginato che le scelte sbagliate di uno Stato (e in parte di un intero pianeta) mi avrebbero rubato i singoli, fondamentali anni della mia maturità, dopo la quale ci sono solo gli anni della vecchiaia. Anni utili per ricordare, certo, ma non per agire.
Questo lockdown è stupido! Stupido! Stupido!
Possiamo anche chiamarlo lockdown ma - se non è speso a sostegno di un’azione più
ampia, articolata, efficace e mirata - il suo vero nome è prigionia.
E’ segregazione
E un giorno qualcuno dovrà risponderne, pagare per questo.
Spero solo che ne avremo ancora il tempo. Il tempo
Il tempo
Il tempo
Tempo rubato
Tempo sospeso
Tempo perso
Tempo sperperato
Tempo speso male
Chiamiamolo come vogliamo ma questo lockdown non è una vacanza. È un sequestro dalla vita.
Odio, odio, odio!!!
Odio sentire che finalmente ho il tempo che mi mancava per fare tutte quelle cose che avrei voluto fare da tempo senza che però ne possa fare qualcosa perché, in realtà, questo non è il suo tempo, è un non-tempo!
E non lo è perché non c’è la libertà. Non è tempo guadagnato ma tempo imposto. Non c’è gioia ma paura. Non c’è tranquillità ma frenesia e ansia.
E so che non lo è perché so che c’è un tempo per tutto:
Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo Tempo
per vivere
per morire
per parlare d’amore e
per amare - che non sono la stessa cosa
per riflettere
per lasciarsi andare
per sognare
per sé stessi che spesso è tempo che rubi al tempo per qualcos’altro per leggere, correre, piangere, dormire, gridare, ringraziare, guardare, per stare zitto
Ma questo ... questo è tempo di prigionia ed è tempo rubato all’azione, all’azione necessaria per aiutare, costruire, cooperare, fare
Fare
Fare
Fare
Fare per la Collettività.
Che bella parola, eh, la collettività?
...e mi sento così impotente e così terribilmente preso per il culo quando mi si dice che solo così, in galera nelle nostre stesse case, solo così possiamo aiutare ... mi prendete per il culo quando mi raccontate che così aiutiamo la patria, difendiamo i nonni e i bambini – ma lo pensate davvero? Sinceramente, dai, siete seri? Perché così è anche peggio! – e nessuno che voglia rendersi conto (o ammettere) dell’inaudita violenza che questa segregazione comporta,
nessuno si rende conto di come questa prigionia stia trasformando in modo profondo e perverso il nostro sguardo su ciò che di più caro abbiamo intorno e sugli altri.
Il salotto, sempre più stretto, è una piazza affollata; il letto, una cella fredda; la sala da pranzo, un parlatorio dove aspetterai inutilmente una visita che non verrà perché non c’è più nessuno in libertà. Sono tutti in gabbia, anche loro.
E il telefono e il pc sono tante latrine emotive dove tutti gli altri reclusi come te scaricano liquami di rabbia, frustrazione, livore, ignoranza, vanità, o quanta vanità, IO-IO-IO-IO-IOOOOOO! Tutto, tutto, tutto: il Covid e la vita di tutti ruotano attorno all’asse di ogni singolo ipertrofico ego in continua espansione, un ego che vaga per il mondo e che, al pari del virus, cerca solo altri ospiti che lo possano albergare e nutrire...
Persino in guerra – per usare la metafora preferita dai più nella narrazione (si dice così?) dell’Italia al tempo del covid19 – persino in guerra nessuno sarebbe lasciato da parte. Verrebbe chiesto il contributo attivo di ognuno per la riuscita dello sforzo bellico, braccia per riempire di sabbia i sacchi delle barricate, spingere carriole, spostare macerie, mani per costruire o riparare, cucire o rammendare, scrivere, insegnare, spiegare, ...tutto per un fine specifico e concreto.
Ma grazie a Dio non siamo in guerra. Eppure ... eppure ...
Eppure siamo stati rinchiusi nelle gabbie che in un tempo ormai lontano erano le nostre case, lasciati in gabbia a “far passare il tempo” ...
A far passare il tempo mentre perdiamo il lavoro Mentre perdiamo i nostri cari.
Mentre perdiamo il sonno
Mentre perdiamo il gusto dell’acqua
Mentre perdiamo il contatto con noi stessi e con la realtà
Mentre perdiamo il senso di noi e di chi siamo stati prima di essere solo ... questo!
E Chi siamo - ora?
Cosa - siamo - ora?
Siamo lasciati soli a intrattenerci nella gabbia che un tempo era la nostra casa (e che un giorno lo sarà ancora, chissà?)
Addirittura, sui nostri inseparabili device - l’unica possibilità di socialità rimasta, simulacri di contatto col mondo – ci regalano strumenti che ci aiutino “a far passare il tempo”, il tempo della segregazione che, attenzione, è un tempo falso, un tempo
anonimo e comune, perché del Nostro tempo siamo stati spossessati, non ci appartiene più.
Tutto ciò che sembra ci sia rimasto da fare, l’unica cosa che ci sia concesso di fare, del tempo è semplicemente “farlo passare” – sempre più divisi, sempre più soli, sempre più lontani (mi dispiace Jack, ma “distanti ma uniti” va bene solo nella tua canzone) perché ... perché per essere uniti bisogna prima essere in contatto con se stessi mentre non siamo neanche più in contatto con le nostre sensazioni più basilari, incapaci di elaborare i nostri istinti primari ... non sentiamo più la fame né il sonno né l’amore ... sangue freddo e cuore sordo ... passiamo il tempo a intrattenerci e a intrattenere, a cucinare e a mangiare, a riempirci la testa di musica, immagini e letture ma abbiamo perduto la possibilità di DESIDERARE perché la sola cosa che desideri in cattività è la libertà e la liberta è l’unica cosa che non puoi avere e allora ripieghi, cerchi un surrogato e quando lo trovi te ne stordisci quasi ma prima o poi, semplicemente, smetti di desiderare.
“Quel bacio era la felicità”, cara Misses Dalloway !
Non desideri altro che tutto finisca e nel mentre ... aspetti. Chiudi gli occhi e aspetti.
Chiudi dli occhi, Trattieni il respiro e aspetti.
E intanto, intorno a te, tutto crolla.
Come se trattenere il fiato ad occhi chiusi potesse davvero bastare.
E ti illudi che poi, tirato il fiato e riaperti gli occhi, tutto riprenderà come prima. Certo, magari qualcuno sarà morto.
Qualcun altro avrà perso tutto.
Ma almeno a te non sarà successo niente.
Non vogliamo vedere
Non vogliamo sapere
Se non per morbosità
Se non per compiacerci segretamente della nostra buona sorte,
Perché, in fondo, a noi degli altri, veramente, non importa nulla.
Non è mai importato nulla.
Non veramente.
Anche quando faceva tanto figo dirlo e gridarlo forte e farlo credere.
Avevamo il culo al caldo, noi, e lo riavremo presto.
E su quello che sarà successo scriveremo libri e canzoni, faremo reading e spettacoli che riempiranno le sale (assembramenti finalmente consentiti) e gli applausi tireranno giù i teatri finalmente riaperti ... e ci sentiremo addirittura così incredibilmente bravi, profondi, impegnati e grandi di fronte al silenzio e alla commozione che inevitabilmente susciterà il ricordo del dolore che noi – così profondamente accecati dalla nostra vanità e felici di essere stati risparmiati - ancora una volta mancheremo di cogliere la grazia dell’illuminazione:
capire di non avere mai saputo né parlare né tacere. Tempo sprecato.
Di nuovo.
(e come mi scrisse una volta la signora Quaini, "saluti dalla Sintesi")